Quando la nonna arrivò a New York aveva quasi cinquant’anni mentre suo figlio era poco più che ventenne. Per tutta la loro vita non sciolsero mai il legame con la loro Sicilia. I profumi, la cucina, il linguaggio e le tradizioni si erano solo “trasferite” più lontano. Non cambiava molto, faceva solo più freddo.
Per Turiddu, invece, era molto diverso. Nato e cresciuto negli Stati Uniti aveva sposato il sogno americano e spesso, come tale voleva essere considerato. Fino a quando la vita, com’è successo a gran parte della “seconda generazione” di italo americani, lo ha portato a scegliere a quale identità culturale appartenere.
Turiddu si sentiva davvero italiano a casa: la cucina, le tradizioni, le abitudini e la lingua che parlavano era il siciliano. Ma per gli stessi motivi era un ragazzo americano fuori dalle mura domestiche (ricordate l’episodio di Halloween?).
Frequentare la Federazione Italo americana del Queens e Brooklyn gli permise di trovare la sua dimensione: vivere da statunitense studiando e lavorando come i suoi coetanei, ma mantenendo l’identità italiana.
Potè giocare a calcio, vedere film in lingua e ascoltare racconti che ancora oggi vivono nei suoi piatti. Fu uno dei luoghi più importanti della sua vita.
La storia degli italo americani di “seconda generazione” parla di emancipazione e tenacia e ha molte similitudini con il lavoro che iPresidi Slow Food cercano di fare oggi. Preservare la cultura tradizionale, tutelare le biodiversità e promuovere il territorio nella sua dimensione più autentica.
Ed è per questo “legame” con la propria terra e cultura, che Turiddu sceglie accuratamente gli ingredienti di ogni sua ricetta.
Prediligendo i presidi, così come le materie prime a km “vero”, per cercare di raccontare l’essenza di una tradizione che porta nel cuore e che ha difeso con le unghie e con i denti.