A New York quando nominavi la pasta italiana tutti pensavano a lasagne o tortellini. Per la nonna, invece, significava parlare di “cavatelli, busiate e maccaruni”. Quella ripiena, infatti, era un formato riservato alle feste.

Solo a Natale e nel giorno del compleanno di Turiddu la nonna preparava dei “maccaruni chini” conditi con il tradizionale ragù di maiale siciliano. Serviva mezza giornata di lavoro per preparare tutto.

Per prima cosa il ragù: salsiccia e puntine di maiale fatte rosolare in un soffritto di cipolla, sedano e carota e sfumate col vino e poi lasciate cuocere a fuoco dolce nella passata di pomodoro. Una cottura lunga che riempiva col suo profumo goloso tutta la casa e lasciava il tempo per preparare la pasta fresca.

L’impasto era una questione di olio di gomito e abilità, l’acqua e la farina sotto le mani della nonna diventavano una sfoglia sottile pronta ad accogliere il ripieno ogni volta diverso in base alla disponibilità.

Questo primo era per Turiddu troppo carico di emozioni e ricordi per limitarsi a riprodurlo seguendo alla lettera la ricetta, così ne ha realizzato una sua particolare versione ora protagonista indiscussa del menù invernale.

I suoi ravioli hanno una forma unica di sua invenzione, gli “stipateddi”, infatti, sono dei fagottini ripieni di ricotta e maggiorana, conditi con un sugo a base di Suino nero dei Nebrodi e patate e spolverati con lamelle di Ragusano DOP semistagionato (ricordate che siamo Locale del Buon formaggio, vero?)

Avete già l’acquolina in bocca, vero?

 

Credit Foto: Rossana Brancato