Inutile negare che febbraio è uno dei mesi più cari all‘immaginario catanese. È il periodo in cui, più di tutti, si intersecano (soprattutto a tavola) religione e folclore, tradizioni sacre e tradizioni profane.
Se, infatti, alla festa della patrona Sant’Agata sono legati dolci deliziosi, al Carnevale catanese appartiene un piatto altrettanto voluttuoso ma di certo più esagerato: la pasta che’ cincu puttusa.
Questo speciale formato, un maccherone con un buco centrale più grosso e quattro laterali più piccoli, oltre ad essere un inno all’abbondanza, è anche particolarmente adatto a raccogliere il corposo ragù che l’accompagna.
Questa ricetta, tipica solo di questo specifico periodo dell’anno, ha un’origine incerta, ma di sicuro è legata ai “riti propiziatori” del periodo che precede la Quaresima.
Ci sono, però, due scuole di pensiero a riguardo: una che ritiene che in origine i buchi fossero sette e che il sugo si dovesse preparare con salsiccia e stufato; e un’altra (probabilmente più moderna) che parla di cinque “puttusa” e un ragù preparato con cotenna e salsiccia.
Qualunque sia quella originaria, entrambe le ricette sono molto ricche e possono essere ricondotte all’antica superstizione secondo la quale il giovedì grasso si debba mangiare abbondantemente e a sazietà per non cadere negli inganni dello “zuppiddu” (uno dei tanti modi con viene personificato il diavolo). Lo zoppetto, infatti, aveva l’abitudine di tentare gli uomini con il cibo. Non a caso un vecchio proverbio (citato in “Usi e costumi credenze e pregiudizi del Popolo siciliano” di Giuseppe Pitrè) dice: “Lu Jòviri zuppiddu cu’ nun si càmmara, è peju pr’iddu!“. Che significa in sostanza: “peggio per chi durante il giovedì dello zoppetto non mangia di grasso“.
Ed è per questo che a Catania il giovedì grasso (ma spesso anche il martedì!) questo primo “esagerato” sotto ogni aspetto, dal formato della pasta agli ingredienti del sugo, appare in tutte le tavole.
La callosità, poi, di questo specifico formato di pasta la rende particolarmente adatta a raccogliere il tipico sugo di pomodoro arricchito con salsiccia di maiale, cotenna, puntine e pezzi di costata.
Anche Me Cumpari Turiddu col tempo si è abituato a questa tradizione, che ormai è immancabile. Perché, come ogni catanese che si rispetti, parlando della pasta che’ cincu puttusa, vi dirà che questo primo va messo a tavola ad ogni costo e “si nun ci si dinari magari i mugghieri si vani a ‘mpignari!”.
Per tutto il periodo di Carnevale Me Cumpari Turiddu propone come extra menù proprio la pasta che’ cincu puttusa, realizzata però con un sugo a base di suino nero dei Nebrodi, per celebrare insieme alla città che lo ha accolto questa golosa usanza.